00 27/05/2022 07:35
E veniamo al terzo quesito .

Separazione delle funzioni giudicanti e requirenti dei magistrati

Il quesito è molto lungo e riguarda l’abrogazione delle numerose disposizioni che fondano o danno la possibilità ai magistrati di passare dalla funzione requirente alla funzione giudicante, o viceversa.

La funzione requirente è quella del pubblico ministero, che in un processo è il magistrato che rappresenta l’accusa. La funzione giudicante è quella del giudice, che è invece chiamato a giudicare ed è dunque super partes. Oggi i magistrati, nel corso della loro vita professionale, possono passare da una funzione all’altra con delle limitazioni e non più di quattro volte.

Se vincesse il “sì” si separerebbero nettamente le due funzioni: a inizio carriera il magistrato dovrebbe dunque scegliere o per la funzione giudicante o per quella requirente, senza più la possibilità di passare dall’una all’altra. Le ragioni a sostegno del referendum sono una maggiore equità e indipendenza che sarebbe garantita solo, dicono i promotori, da una netta separazione tra i magistrati che accusano e quelli che giudicano.

Si parla di questo tema da decenni. Chi è contrario alla modifica pensa innanzitutto che per una riforma così significativa e complessa il referendum abrogativo non sia il mezzo più adatto, e che la modifica normativa che ne deriverebbe porrebbe una questione di incompatibilità con la Costituzione, e dunque renderebbe necessaria una sua modifica. Nel Titolo IV dedicato appunto alla magistratura la Costituzione contiene principi e regole che si riferiscono indifferentemente a tutti i magistrati, sia giudici che pubblici ministeri.

Separare le funzioni, dicono i contrari al referendum, isolerebbe poi il pubblico ministero, allontanandolo dalla cultura della giurisdizione: nascerebbe cioè una cultura dell’indagine e dell’accusa autonoma, sganciata da ogni vincolo e ipoteticamente anche da ogni regola deontologica. Secondo questa impostazione il cambio di funzione, insomma, andrebbe considerato almeno in teoria come una cosa positiva per l’esperienza di un magistrato e dunque da preservare.