Venere di Milo
Autore Alessandro di Antiochia
Data 130 a.C.
Materiale Marmo pario
Altezza 202 cm
Ubicazione Museo del Louvre
L’Afrodite di Milo, meglio conosciuta come Venere di Milo, è una delle più celebri statue greche.
Si tratta di una scultura di marmo pario alta 202 cm priva delle braccia e del basamento originale ed è conservata al Museo del Louvre di Parigi.
Sulla base di un'iscrizione riportata sul basamento andato perduto si ritiene che si tratti di un'opera di Alessandro di Antiochia anche se in passato alcuni la attribuirono erroneamente a Prassitele.
Disegno della statua con l'iscrizione sul plinto mancante (Debay, 1821)
La Venere di Milo risale al 130 a.C. circa: è dunque un'opera ellenistica, sebbene si tratti di una scultura che fonde i diversi stili dell'arte del periodo classico.
Venne ritrovata spezzata in due parti nel 1820 sull'isola greca di Milo da un contadino chiamato Yorgos Kentrotas. Kentrotas nascose l'opera la quale fu poi tuttavia sequestrata da alcuni ufficiali turchi. Un ufficiale della marina francese, Olivier Voutier, ne riconobbe il pregio e, grazie alla mediazione di Jules Dumont d'Urville e del Marchese di Rivière, ambasciatore francese presso gli ottomani, riuscì a concluderne l'acquisto. Dopo alcuni interventi di restauro, la Venere di Milo fu presentata al re Luigi XVIII nel 1821 e collocata al museo del Louvre, dove è tuttora conservata.
La grande fama raggiunta dall'opera nel XIX secolo non fu dovuta soltanto alla sua bellezza e alla sua perfezione, ma anche alla "propaganda" delle autorità francesi. Nel 1815, infatti, la Francia dovette restituire la Venere de' Medici agli italiani, dopo che questa era stata portata in Francia tra le spoliazioni napoleoniche. La Venere di Milo, dunque, venne "sponsorizzata" dai francesi per rimpiazzare così la perdita dell'altra opera.[senza fonte]
Celebrata da artisti e critici, la Venere di Milo fu da molti considerata una delle più significative rappresentazioni della bellezza femminile; l'unico che si distinse fu Pierre-Auguste Renoir che la liquidò definendola "un gran gendarme".